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Alcune modeste riflessioni sulla natura dell’architettura nel nostro tempo – (2/2)

Henri Matisse, Interno con vaso etrusco, 1939-40

di Christhopher Alexander*

( >>> continua dalla prima parte)

Una visione dell’architettura come disciplina che cura il mondo.

La questione centrale è guardare all’architettura in modo completamente differente, in cui ogni azione, piccola, media o grande che sia, è governata da una unica regola che tutto abbraccia: “Qualunque cosa si faccia deve sempre essere fatta avendo la massima cura possibile della totalità: la Terra, la gente, le strutture esistenti della città.”

Questa regola deve essere applicata quando si posiziona una finestra nel muro; quando si colloca un edificio lungo una strada; quando si costruisce o ricostruisce un quartiere nella città. In ogni caso quello che è importante è la cura dell’insieme, l’integrità vivente della Terra, in quel quartiere, e l’amore e la dedizione che lo sostengono, lo preservano e lo estendono.

Ciò è interamente -totalmente- diverso dall’attuale concezione per cui ogni cosa fatta vive in grande misura per se stessa: in cui lo sviluppo, stilosità, e il profitto, sono l’unico filo conduttore. Si tratta di una nuova concezione nella quale una nuova triade (Totalità – Cura – Trasformazioni che preservano la struttura) guida e rimpiazza la vecchia triade (Moda – Profitto – Promozione e Commercializzazione ottenuti tramite il design), che governa tutta l’architettura postmoderna predominante in voga oggi. (altro…)

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Alcune modeste riflessioni sulla natura dell’architettura nel nostro tempo – (1/2)

Herni Matisse, Donna con ombrello seduta di profilo. 1919-21, olio su tela

di Christhopher Alexander*

   Prefazione
Ho scritto il seguente articolo in risposta ad un commento, scritto da William Saunders, e pubblicato su Architectural Record nel numero di maggio del 2002. – (1) Il commento ha preso la forma di recensione libraria divisa in due parti, la prima tratta di “A Pattern Language” (una versione condensata di una recensione più lunga che era apparsa nella primavera 2002 su Harvard Design Magazine) e la seconda parte viene presentata, come se si trattasse di una recensione di Il Fenomeno della vita, libro I della serie La Natura dell’ordine. – (2) Comunque, la forma attuale di questa seconda parte è quella di un attacco personale. E’ stata impostata intenzionalmente con lo scopo di distruggere il libro, non argomentando, ma danneggiando la mia reputazione personale e professionale. Tale esposizione dà poche indicazioni concrete che il signor Saunders abbia letto Il Fenomeno della vita. Certamente non ha né spiegato, né riassunto, né offerto repliche sugli argomenti che il libro contiene.

Per un recensore di libri è insolito evitare di parlare dei contenuti del libro che recensisce. Ciò suggerisce, a mio avviso, o che l’autore ha fatto il suo lavoro molto rapidamente, e non ha quindi avuto il tempo di esaminare il libro con attenzione, o che ha ritenuto che Il Fenomeno della vita contenesse materiale così pericoloso per l’attuale maniera di pensare l’architettura, che doveva essere distrutto, piuttosto che criticato in base ad argomentazioni ragionate, in modo tale da impedire ad ogni costo agli architetti la lettura di tale libro.

Se effettivamente questo è il caso, allora tale tentativo di occultare le colpe dell’odierna professione dell’architettura attraverso sferzate, diventa interessante perché suggerisce quanto la professione sia isolata dai recenti sviluppi della scienza. Il libro recensito presenta una proposta, idee, e prove scientifiche che, se considerate nel loro insieme, potrebbero avere enormi implicazioni per la pratica dell’architettura, e, una volta prese sul serio, inevitabilmente cambiare la natura dell’architettura nella società.

 

Un criterio oggettivo per valutare l’architettura

Il Fenomeno della vita descrive un criterio completamente nuovo, scientifico, per definire il valore in architettura. Ed è basato su 27 anni di osservazioni accuratamente registrate.

La proposizione fondamentale contenuta in questo libro è che il grado di vita sia una caratteristica oggettiva e osservabile degli edifici e di altri artefatti, che essa dipenda dalla presenza o assenza di una struttura identificabile che possiamo chiamare struttura vivente: e che è la presenza o l’assenza di questa struttura che distingue gli edifici di valore da quelli che non lo sono, la buona dalla cattiva architettura. (altro…)

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Un “Pattern” è (un po’) come un diamante

Un intervista* a Jenny Quillien racconta la nascita della ricerca portata avanti dal gruppo di lavoro di Christopher Alexander che ha condotto alla pubblicazione di uno dei saggi di architettura più venduto di tutti i tempi, “A Pattern Language” e le motivazioni per le quali dopo trent’anni hanno portato l’autore a ridiscutere le sue stesse teorie integrandole con la pubblicazione di una serie di 4 saggi chiamata “The Nature Of Order”. (altro…)

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Gioie dell’architettura

“ Il fine di tutta l'architettura, lo scopo della sua organizzazione geometrico-spaziale, è quella di fornire opportunità a situazioni capaci di favorire la vita.

La questione centrale dell’architettura, il suo scopo principale, è quello di creare quelle configurazioni e quelle situazioni sociali, che forniscono supporto e sostegno ad un comfort vivificante e ad una profonda soddisfazione - a volte entusiasmo - in modo che uno sperimenti la vita come degna di esser vissuta.

Quando questo scopo viene dimenticato o abbandonato, non esiste di fatto, nessuna architettura di cui parlare. ”

— C. Alexander, H. Neis, M. Alexander. “Battle for the Life and Beauty of the Earth.” - Oxford University Press. N.Y. November 2012, p. 2

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La partecipazione

Tavolo di partecipazione in via Mignozzi a Fasano. Giugno 2014 © Chicco Saponaro

Solo le persone che vivono nella comunità ne possono guidare il processo di sviluppo organico. Esse conoscono meglio di chiunque altro i propri bisogni, la funzionalità delle stanze, degli edifici, delle corsie riservate ai pedoni e degli spazi aperti. […]

Gli architetti ed i progettisti, per quanto bene possano progettare, o per quanta cura vi possano mettere nel farlo, non possono, da soli, creare degli ambienti che abbiano la varietà e l’ordine che noi ricerchiamo. Un insieme organico può essere creato soltanto dall’azione di una comunità, in cui ognuno collabora a modellare quelle parti dell’ambiente che meglio conosce.

[…]

Iniziamo col chiederci cosa significa esattamente « partecipazione ». Questo termine può indicare ogni tipo di procedimento attraverso il quale gli utenti possono contribuire a modellare il proprio ambiente. Il tipo più semplice di partecipazione è quello in cui gli utenti contribuiscono a modellare un edificio in qualità di clienti di un architetto. Il tipo più complesso è quello in cui gli utenti costruiscono i loro edifici da soli. (altro…)

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La città è della gente

Con l’invito alla lettura di un saggio di Jane Jacobs pubblicato nel 1958, introduciamo la possibilità di poter dar valore ad uno spazio urbano analizzando il suo “livello di vita”. (***)

Siamo in un momento critico per il futuro della città. In tutto il paese urbanisti e amministratori stanno preparando una serie di progetti di riqualificazione che fisseranno i caratteri delle zone centrali per generazioni a venire. Si demoliscono vaste superfici, profonde parecchi isolati; solo in alcuni casi la trasformazione è già in corso, ma in quasi ogni grande centro si è pronti a partire con le costruzioni, i progetti saranno presto completati.

Di che tipo di progetti si tratta? Tutto molto spazioso, verde, poco affollato. Grandi vedute su spazi aperti. Tutto solido, simmetrico, ordinato. Netto, deciso, monumentale. Tutte le caratteristiche di un ben tenuto, dignitoso, cimitero urbano.

Ciascun progetto assomiglia parecchio a tutti gli altri (…)
Da una città all’altra, gli schizzi degli architetti evocano le medesime scene sognanti, nessuna concessione alle particolarità, ai vezzi, alla sorpresa, nessuna traccia del fatto che esista una città con una propria tradizione e carattere.

Questi progetti non rivitalizzeranno il centro: lo ammazzeranno. Perché si pongono contro la città. Negano la strada. Eliminano la funzione della strada. Eliminano la sua varietà. (…)

Senza quasi alcuna eccezione tutti i progetti propongono una risposta standardizzata ad ogni necessità: commercio, salute, cultura, amministrazione, di qualunque attività si tratti, si prende un pezzo della vita della città, lo si astrae dal trambusto del centro, e lo si ricolloca come isola autosufficiente, in maestosa solitudine.

L’articolo completo, è stato tradotto da Fabrizio Bottini, e pubblicato su http://mall.lampnet.org/index.php/article/articleview/12835/0/203/

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