di Christhopher Alexander*

   Prefazione
Ho scritto il seguente articolo in risposta ad un commento, scritto da William Saunders, e pubblicato su Architectural Record nel numero di maggio del 2002. – (1) Il commento ha preso la forma di recensione libraria divisa in due parti, la prima tratta di “A Pattern Language” (una versione condensata di una recensione più lunga che era apparsa nella primavera 2002 su Harvard Design Magazine) e la seconda parte viene presentata, come se si trattasse di una recensione di Il Fenomeno della vita, libro I della serie La Natura dell’ordine. – (2) Comunque, la forma attuale di questa seconda parte è quella di un attacco personale. E’ stata impostata intenzionalmente con lo scopo di distruggere il libro, non argomentando, ma danneggiando la mia reputazione personale e professionale. Tale esposizione dà poche indicazioni concrete che il signor Saunders abbia letto Il Fenomeno della vita. Certamente non ha né spiegato, né riassunto, né offerto repliche sugli argomenti che il libro contiene.

Per un recensore di libri è insolito evitare di parlare dei contenuti del libro che recensisce. Ciò suggerisce, a mio avviso, o che l’autore ha fatto il suo lavoro molto rapidamente, e non ha quindi avuto il tempo di esaminare il libro con attenzione, o che ha ritenuto che Il Fenomeno della vita contenesse materiale così pericoloso per l’attuale maniera di pensare l’architettura, che doveva essere distrutto, piuttosto che criticato in base ad argomentazioni ragionate, in modo tale da impedire ad ogni costo agli architetti la lettura di tale libro.

Se effettivamente questo è il caso, allora tale tentativo di occultare le colpe dell’odierna professione dell’architettura attraverso sferzate, diventa interessante perché suggerisce quanto la professione sia isolata dai recenti sviluppi della scienza. Il libro recensito presenta una proposta, idee, e prove scientifiche che, se considerate nel loro insieme, potrebbero avere enormi implicazioni per la pratica dell’architettura, e, una volta prese sul serio, inevitabilmente cambiare la natura dell’architettura nella società.

 

Un criterio oggettivo per valutare l’architettura

Il Fenomeno della vita descrive un criterio completamente nuovo, scientifico, per definire il valore in architettura. Ed è basato su 27 anni di osservazioni accuratamente registrate.

La proposizione fondamentale contenuta in questo libro è che il grado di vita sia una caratteristica oggettiva e osservabile degli edifici e di altri artefatti, che essa dipenda dalla presenza o assenza di una struttura identificabile che possiamo chiamare struttura vivente: e che è la presenza o l’assenza di questa struttura che distingue gli edifici di valore da quelli che non lo sono, la buona dalla cattiva architettura.

Voglio osservare che questa è vera scienza, che produce risultati reali, non un lavoro accademico che scimmiotta soltanto le forme della investigazione scientifica, nei modi, nelle parole e nella presentazione. E’ scienza vera, in cui le questioni empiriche vengono analizzate e -nonostante la loro inerente difficoltà- le analisi cominciano a mostrare risultati condivisibili, empirici, che potrebbero in un decennio o due, cominciare ad avere effetti profondi nella nostra società. E’ un lavoro che ha enormi implicazioni per tutte le questioni più profonde del progetto architettonico e urbanistico.

Ho scritto questo libro per un mio desiderio di contribuire a impostare l’architettura su fondamenta solide: e per le mie convinzioni che tali questioni, sono inevitabilmente al centro del lavoro che tutti noi, architetti, facciamo ogni giorno.

Il libro presenta argomenti che riguardano la difficoltà scientifica di trattare questo tema. Presenta centinaia di esempi. È presentato su di una base matematica, che è stata applicata ad esempi architettonici presi da costruzioni che vengono dalla storia.

E’ scritto in un linguaggio semplice, con una evoluzione accurata delle idee, dai fondamenti e dai principi base, fino ai risultati concreti, alle tecniche sperimentali, in confronto con altri metodi comparabili utilizzati in architettura.

Niente di tutto questo è descritto, analizzato, detto, o anche solo vagamente accennato nella recensione di Mr. Saunders.

Non ci sono concetti addotti per confutare la teoria presentata, malgrado il libro contenga centinaia di pagine di esempi, prove, osservazioni, e nonostante il tema è pertinente agli interessi di ogni architetto.

Se esistesse davvero un criterio scientifico da usare per distinguere la struttura vivente da quella non-vivente e fosse formulato abbastanza bene per poter essere applicato all’architettura, questo sarebbe di grande importanza per la nostra professione e per la società; sarebbe un passo in avanti rispetto alla difficoltà che abbiamo oggi nel costruire buoni ambienti. Allora perchè questo scrittore non descrivere ciò che contiene davvero il libro.

Il signor Saunders evita una discussione franca su ciò che contiene il libro, forse, semplicemente perché nel Il fenomeno della vita, è percepibile il grande disagio di molti architetti contemporanei di fronte al fatto che il criterio della struttura vivente applicato alla produzione stilistica dell’architettura della nostra epoca, porterebbe, in molti casi, a valutazioni negative. Una tale visione, mettendo in dubbio per la prima volta l’alto sacerdozio dell’architettura, sarebbe coerente con le opinioni espresse dalla gente comune che non ama la grande architettura-immagine attualmente in voga. Pertanto, esiste la possibilità che se questo libro venisse preso sul serio, sia dagli architetti che dalla società in generale, la bolla dell’architettura dell’ultima parte del secolo XX, e il suo tentativo di truffare il pubblico, all’improvviso potrebbe scoppiare.

Vi è un ulteriore motivo per chiedersi che cosa stesse veramente cercando il signor Saunders nella sua recensione. E’ estremamente strano che il signor Saunders nasconde il concetto centrale della struttura vivente, fondamentale per il libro e la tesi del libro, e mai una volta ne parla nella sua recensione. Mi sembra strano perché in un articolo sul valore architettonico, scritto nel 1999, il signor Saunders cita esplicitamente la teoria della struttura vivente, (chiamandola teoria di massima vitalità), che egli attribuisce a John Dewey, D.H. Lawrence, Christopher Alexander e F.R. Leavis, pag. 4), con queste parole: … e poi va a dire … “un’architettura di ‘massima vitalità’ … può verosimilmente soddisfare contemporaneamente diversi (se non la maggior parte) dei criteri di valutazione, oppure soddisfare uno o due criteri ad un livello straordinario … ” – (3)

Dal momento che lui comprende chiaramente l’idea ed ha già precedentemente espresso il suo parere, su carta, che questo è uno dei criteri più importanti per il valore architettonico, diventa difficile da capire il motivo per cui avrebbe scritto una recensione ignorando le 350 pagine dedicate al sobrio dibattito su tale argomento, ed ai relativi problemi scientifici insiti nello stesso. E non è chiaro neanche perché avrebbe scritto in maniera tale da offuscare le questioni empiriche centrali.

 

La mancanza di un canone di valori condiviso

E’ probabile che la debolezza più pericolosa della professione architettonica sia la mancanza di un canone di valori legittimo e condiviso, che risieda nei sentimenti profondi delle persone comuni, e che risuona con le loro esperienze. … o di cogliere pubblicamente i giudizi dei valori vissuti validi come dati di fatto, o nel rispettare i valori che hanno i membri “ordinari” del pubblico. Nella nostra professione, invece, si è commesso l’errore di guardare il pubblico dall’alto in basso, sostenendo una concezione dei valori altamente idiosincratica e specialistica, posseduta da “i pochi”, considerando l’uomo comune come ignorante, e considerare invece gli architetti come persone che hanno il diritto, l’autorità e il potere politico, di continuare ad ignorare l’opinione pubblica sui valori architettonici e di diffondere il proprio particolare marchio dell’architettura-immagine postmoderna priva di qualunque contatto con uomini e donne.

Va detto per correttezza, che il Sig. Saunders parla per questa postmoderna, sbudellata maggioranza della professione di architetto, che ha rinunciato alla speranza che vi sia una qualsiasi verità nell’architettura, a favore dell’idea che esistano solo semplici attitudini, opinioni e maschere, e che ogni maschera o punto di vista delle persone sia ugualmente prezioso. Questa convinzione insalubre -inevitabile sotto l’influsso del pensiero cartesiano- è quella che ha scavato letteralmente la fossa all’architettura negli ultimi 50 anni. Tuttavia, coloro che sposano tale convinzione, sono avvolti nella necessità di quest fede, perché è una necessaria una fede a rinforzare e salvare l’assurdità della loro posizione. Quindi, qualunque linea di pensiero che oggi suggerisca che il sentimento e la qualità sono oggettivi, deve essere considerata un anatema, poiché, ammettere la loro oggettività metterebbe a nudo la povertà delle loro concezioni, ed esporrebbe al mondo l’intera professione e le sue attività, in tutto il XX secolo, in quanto vuota falsità.

Qual è, dunque, il vero contenuto del Libro I, Il fenomeno della vita, che Saunders non è riuscito a descrivere, o non ne è stato capace, preferendo liquidarlo, ironizzando con chiacchere inconsistenti?

La tesi è diretta. Dice che la separazione positivista del fatto dal valore, e la nozione che soltanto i fatti siano oggettivi, mentre i giudizi di valore possono solo essere questioni personali di opinione, è errata, e che esiste uno schema delle cose in cui i giudizi di valore possono essere esaminati empiricamente: e che se esaminati in un certo modo particolare, i sentimenti della gente comune, sul valore, forniscono un insieme di giudizi che è stabile e attendibile, da persona a persona e, comunque, molto differente nel contenuto dalle nozioni di valore che sono oggi dominanti tra gli architetti di successo.

C’è una seconda parte di questa tesi, e precisamente, che il valore che viene identificato attraverso questi metodi empirici, è generato da una struttura identificabile e ripetibile, che può essere identificata matematicamente e si incontra ripetutamente in tutte le strutture naturali, specialmente in quelle che normalmente si ritiene siano dotate di vita. Confrontate con questo genere di strutture, quelle proposte dagli architetti nei decenni recenti, spesso sono carenti di vita e appartengono a un genere di strutture che dovrebbero considerarsi morte.

L’argomento chiave, naturalmente, è che, sia la stessa tesi originale che l’osservazione secondaria, appena citata, siano sostenute da una dovizia di prove empiriche, secondo gli esperimenti che possono essere facilmente verificati. Le procedure sperimentali interessate sono insolite, ma costituiscono, nondimeno, esperimenti condivisibili e ripetibili. Bisognerebbe dire subito che gli esperimenti non sono rilevamenti di opinioni, quanto piuttosto esperimenti che usano giudizi soggettivi di un tipo particolare e controllato, per ottenere misure della vita presente nelle cose, negli eventi e nelle situazioni.

In tal modo l’intero schema delle cose, in cui il valore assume una nuova forma e in cui i giudizi di valore sugli edifici possono essere verificati e discussi in un linguaggio ragionevole, ha un riconoscimento sperimentale e avrebbe – ove lo si ritenga attendibile- un enorme impatto sul corso dell’architettura presente e futura.

Questa tesi, di fondamentale importanza se vera, specialmente per l’architettura, viene chiaramente definita e argomentata in questo primo libro su La Natura dell’Ordine. Non è riassunta, o discussa, in nessuna forma, dal signor Saunders.

 

Il Concetto Di Totalità

Scientificamente parlando, qual è l’origine della struttura vivente? E come può essere definita per essere accessibile alla discussione, all’esperimento, al dibattito?

La sua essenza risiede nell’idea di totalità. Negli ultimi due decenni i fisici, gli altri scienziati e i filosofi della scienza, hanno cominciato a scoprire che una visione del mondo basata sulla totalità è essenziale per una comprensione adeguata dell’universo puramente fisico. Una visione della totalità come struttura esistente è essenziale nella fisica dei quanti; essenziale nella biologia, essenziale nell’ecologia; in una forma o nell’altra, essenziale in quasi ogni campo della scienza contemporanea. Eppure, anche in queste aree, è stato difficile forgiare un concetto scientificamente preciso di totalità. L’idea pone domande alla scienza affinché estenda proprio le nozioni stesse dell’analisi scientifica, poiché richiede una visione in cui il valore e la nozione di totalità e l’inclusione dell’osservatore nella descrizione di ciò che viene osservato, sembrano entrare in conflitto con il metodo scientifico; eppure, debbono esservi incluse al fine di ottenere dei risultati.

Per gli scienziati, è diventato pertanto necessario trovare nuovi metodi di indagine e di osservazione, in cui la totalità, il , il sentimento e il valore abbiano un ruolo all’interno dell’atto stesso dell’osservazione; tuttavia -se debbono far parte della scienza- queste inclusioni debbono lasciare la scienza oggettiva integra e affidabile.

La concezione, le tecniche sperimentali e perfino il modo in cui modificare la nostra visione essenzialmente cartesiana, così da poter ammettere il sé, l’Io e il sentimento, sono straordinariamente difficili. Ma sono necessarie per il progresso della scienza.

Sono anche necessarie per il progresso dell’architettura. Questo argomento è di grandissima importanza per gli architetti e per l’architettura in quanto disciplina, poiché, ogni volta che costruiamo un edificio, è il grado di partecipazione alla più grande totalità del mondo che lo circonda che determinerà il suo successo, la sua armonia e il suo grado di vita.

Perché tutto ciò è tanto importante per l’architettura? L’armonia di una strada o di un edificio con il suo paesaggio può essere compresa e resa profonda soltanto se abbiamo un’immagine della totalità che si adatta armoniosamente. L’adattamento della luce e del movimento nell’atrio di un edificio può essere compreso se, ancora una volta, abbiamo un’immagine della struttura della totalità che sostiene l’adattamento. Per aprire una finestra in un muro , perché sia fatta come si deve , cioè, perché abbia la giusta posizione e la giusta dimensione, perché il suo disegno sia in accordo con l’armonia dell’insieme si deve comprendere la totalità. Mi ricordo che Peter Eisenmann mi disse di non essere interessato all’armonia! Poiché il mondo è tanto tormentato, voleva esprimere il tormento. Bene per Mr. Eisenmann! Non tanto bene per gli sfortunati che debbono abitare i suoi edifici.

Nonostante l’importanza dell’argomento, per qualche strana ragione gli architetti sono stati gli ultimi a svegliarsi e unirsi al movimento mondiale intellettuale e culturale delle scienza che cerca di comprendere il concetto di totalità e, anzi, sono stati -e ancora sono- straordinariamente ostili a questo tipo di ragionamenti.

Ricorderò sempre con quanta ostilità reagirono i miei colleghi di facoltà a Berkeley, quando 25 anni fa cominciai a parlare, nei consigli di Facoltà, della totalità come concetto fondamentale per l’architettura. Solo la parola, ‘totalità’, accese i loro animi e li rese furiosi, impazziti, come se fosse un attacco personale. Nel 1989 il nostro Preside Howard Friedman osò proporre che la totalità venisse inclusa nel curriculum degli studi di architettura come materia di studio. Al successivo consiglio di Facoltà, subì un velenoso attacco personale da parte di uno dei membri della Facoltà. La conseguenza dell’intensità di quell’assalto verbale fu l’interruzione della riunione. Ma prima che il consiglio lasciasse l’aula, nei minuti che seguirono, Howard ebbe un fatale attacco di cuore. Fu portato all’ospedale e morì poco dopo.

Un così tragico evento non permetterà che il tema della totalità e del valore vengano messi da parte. Semplicemente indica quanto antagonismo possa generare questo concetto, probabilmente perché minaccia di entrare in profondità nel tessuto della pratica quotidiana e dei suoi presupposti. È doloroso constatare che l’attacco di Mr. Saunders al mio libro riguardi lo stesso soggetto, un irrazionalità simile a quella di un aggressione di un cane.

Ad un critico a cui è stato chiesto di recensire un saggio -un saggio che inizia ad affrontare, cercando di esprimere, nel linguaggio scientifico, le fondamenta di una nuova visione della totalità, che potrebbero, in caso di successo, portare un contributo e nuove prospettive all’architettura- e invece di dedicare qualche sobria riflessione ai difficili e complessi problemi scientifici ed architettonici (molti dei quali sono descritti nel libro), sceglie semplicemente di distruggere l’autore invece che gli argomenti (che nemmeno cita). Forse spera che questa strategia faccia scomparire del tutto l’argomento.

Ma l’argomento resta di grande importanza.    –    (…continua nella seconda parte >>>)

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fonte: THE NATURE OF ORDER – SOME SOBER REFLECTIONS ON THE NATURE OF ARCHITECTURE IN OUR TIME – Christopher Alexander* – tradotto da Antonello ‘Martinez’ Gianfreda & Patrizia Filomena Giannoccaro

* – Il professor Alexander è stato il primo a ricevere, nel 1970, la medaglia AIA per la ricerca. All’epoca è stato premiato per la sua “eccezionale disponibilità a condividere le sue scoperte scientifiche con la comunità degli architetti". Nel 1996 è stato eletto alla americana Accademia delle Arti e delle Scienze.

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Note

(1) – Christopher Alexander, The Nature of Order, Book 1: The Phenomenon of life, CES Publications, 2003.
(2) – William S. Saunders, “From Taste to Judgment” Harvard Design Magazine, Winter-Spring, 1999, number 7.
(3) – William S. Saunders, “A Pattern Language: reviewed” Harvard Design Magazine, Winter-Spring, 2002, number 16.
(4) – Christopher Alexander, The Nature of Order, Book 2: The Process of Creating Life, CES Publications, 2003.
(5) – Christopher Alexander, The Nature of Order, Book 3: A Vision of a Living World, CES Publications, 2003.