di Christhopher Alexander*

( >>> continua dalla prima parte)

Una visione dell’architettura come disciplina che cura il mondo.

La questione centrale è guardare all’architettura in modo completamente differente, in cui ogni azione, piccola, media o grande che sia, è governata da una unica regola che tutto abbraccia: “Qualunque cosa si faccia deve sempre essere fatta avendo la massima cura possibile della totalità: la Terra, la gente, le strutture esistenti della città.”

Questa regola deve essere applicata quando si posiziona una finestra nel muro; quando si colloca un edificio lungo una strada; quando si costruisce o ricostruisce un quartiere nella città. In ogni caso quello che è importante è la cura dell’insieme, l’integrità vivente della Terra, in quel quartiere, e l’amore e la dedizione che lo sostengono, lo preservano e lo estendono.

Ciò è interamente -totalmente- diverso dall’attuale concezione per cui ogni cosa fatta vive in grande misura per se stessa: in cui lo sviluppo, stilosità, e il profitto, sono l’unico filo conduttore. Si tratta di una nuova concezione nella quale una nuova triade (Totalità – Cura – Trasformazioni che preservano la struttura) guida e rimpiazza la vecchia triade (Moda – Profitto – Promozione e Commercializzazione ottenuti tramite il design), che governa tutta l’architettura postmoderna predominante in voga oggi.

Ci sono due mondi differenti: e poco importa quante chiacchiere si possono fare oggi sull’ecologia che è la seconda di queste triadi che guida l’architettura della seconda metà del XX secolo, nel 2% del mondo dove gli edifici “disegnati da architetti” giocano un ruolo.

La Terra, la città, la metropoli, possono essere modellate da un processo che ha come obiettivo la vita, la cura della superficie della Terra –nelle aree metropolitane e nella natura– per la creazione di una struttura vivente. In questo caso, la geometria, il progetto, i processi costruttivi, saranno tutti differenti, e quello che noi crediamo adesso sia architettura, sarà abbandonato in favore di una nuova visione che prima di ogni altra cosa aspiri al benessere della Terra, dei suoi luoghi e dei suoi abitanti, animali, piante e pietre. (6)

 

Grandi cambiamenti nella disciplina dell’Architettura: l’idea della cura

La filosofia meccanicista e le arbitrarie visioni del valore che continuano a influenzare l’architettura nel presente sono intimamente connesse.

In primo luogo, l’ideale del profitto degli imprenditori e l’approccio all’architettura, alla costruzione e alla pianificazione orientate al profitto, inevitabilmente operano contro la totalità e contro la cura della Terra. Questo perché gli obiettivi di valore che possono stabilirsi all’interno dei concetti di meccanismo sono essenzialmente incapaci di far crescere la totalità o di curare i sistemi.

In secondo luogo, la stessa idea di cura presuppone che noi sappiamo che cosa significa curare, che cosa è la salute, che cosa perciò è la totalità. Ancora più vitale, quando si pensa e si parla facendo riferimento alla struttura del mondo mentale governato da questo meccanismo, qualunque pensiero sul valore diventa arbitrario, un valore impresso sulla logica della macchina, esterno ad essa, e perciò arbitrario, in tutti gli aspetti che possono essere compresi o immaginati all’interno del mondo meccanicistico.

Pertanto, i nostri valori riguardo all’architettura, durante gli ultimi cinquanta anni, sono stati arbitrari, perché sono stati inventati arbitrariamente. Sono protetti dai professionisti soltanto perché sono utili agli obiettivi dello sviluppo indotto dal capitale, il pane e burro dell’architetto post-moderno. Quindi, i valori, le immagini postmoderne- come tutte le altre immagini e gli stili che passano- servono il capitale, il profitto, lo sviluppo, ma sono contro la totalità, contro la salute, contro il benessere della Terra.

Questa è l’eredità letteraria ed artistica trasmessa oggi nelle scuole di architettura, e che si propaga attraverso gli architetti e gli edifici che sono funzionali al processo di sviluppo indotto dal capitale.

Questa eredità non serve alla totalità. Non serve l’insieme. Non aiuta a curare il mondo o a ricostruire la Terra come un luogo in cui le api, gli uomini, le brezze, le pietre, le lucertole possono correre liberi… né aiutano gli uccelli, i ragni, le volpi, l’acqua, gli affari, i ristoranti e i taxi che popolano la città.

Ho passato la mia vita cercando di trovare un modello scientifico condivisibile, razionale, che portasse alla luce questo tema della vita, della totalità e dell’armonia- specialmente quando investe la geometria degli edifici- per consentirci di fare una discussione e di osservare i suoi effetti.

E’ in nostro potere prendere una strada alternativa, in cui ogni singolo atto del costruire- progettare, decorare, migliorare economicamente- venga fatto come parte della cura della Terra. Questo è possibile perché anche in questo caso siamo capaci di creare la natura.

Ma non possiamo ottenere tutto ciò o nemmeno muoverci nella sua direzione, senza il rispetto della totalità, chiarita come concetto e formulata in modo tale da trascendere ogni attuale presunzione, concetto e ideale a breve termine.

Il futuro sta nella profonda comprensione della totalità come concetto e come fondamento della pratica. Allontanarsi da questo è più che semplice miopia. Sarebbe una tragedia per gli architetti infliggere ulteriori danni alla Terra già tanto sconvolta.

Andare da un’altra parte a cercare una visione della vita scientifica e possibile che possa diventare un fondamento della pratica architettonica, è più morale di ciò che facciamo oggi, più giusto, più bello. Va più nella direzione di servire la vita. E tutti coloro che praticano questa forma corretta di architettura, probabilmente si sentiranno essi stessi più integri.

Quando la vita dell’ambiente gioca un ruolo tanto fondamentale per il benessere della Terra e quando la scienza stessa lotta per comprendere la natura della totalità in gran parte delle nuove aree scientifiche, sarebbe un grande peccato se un attacco filisteo ai tentativi preliminari di progredire in quella direzione dovessero mantenere l’architettura come l’ultimo dei dinosauri filosofici dell’era meccanicista.

Quali sono, allora, le implicazioni dell’architettura fondata sulla totalità, per i nostri valori architettonici dominanti?

La teoria è così ricca e dettagliata, che possiamo trarne conseguenze straordinarie. Queste sono presentate nei volumi 2, 3 e 4 -non ancora recensiti da Mr. Saunders o dall’AIA*. Le conseguenze della teoria hanno implicazioni nei processi che una architettura positiva deve usare per ottenere edifici che abbiano una vita. – (4)

Hanno implicazioni che dettano alcune relazioni tra il progetto e la costruzione e ne eliminano altre, come parte necessaria dell’architettura. – (5)

Ha implicazioni nel coinvolgimento della gente nel progetto degli edifici e nei modi precisi in cui questo coinvolgimento è probabile che si realizzi oppure no.

Ha implicazioni nel flusso di denaro. Ha implicazioni nel trattare il dettaglio architettonico e nella realizzazione dell’integrazione dell’ingegneria strutturale nella struttura del progetto.

Ha anche implicazioni enormi per la scellerata alleanza tra gli architetti e gli imprenditori: probabilmente il segreto più oscuro nella storia dell’architettura moderna, quello che ha reso gli architetti più simili a dei venditori, che scrivono pubblicità alte qualche decina di metri, pretendendo che sia arte, mentre sono progettati soltanto come segni per spingere il flusso di denaro nelle tasche dell’imprenditore.

Influenzano virtualmente ogni parte della professione che oggi conosciamo come architettura, e indicano la necessità di un cambiamento in ciascuna di esse.

Non c’è dubbio che sotto l’impatto di questa teoria l’architettura cambierà profondamente: e cambierà per il meglio.

Una nota sulla scienza

Vale la pena di concludere con una breve dichiarazione su che cosa è scienza che cosa non lo è.

Si fa scienza quando si capisce come funziona una cosa. Questo è particolarmente vero se ci si immagina come funziona una cosa che nessuno ha immaginato prima.

Non c’è bisogno di vestirla a festa, bisogna soltanto elaborarla.

Tutto il resto è abbigliamento. Linguaggio pomposo, impaginazione di sommari, testi e dati, note a piè pagina, riferimenti eruditi, precedenti accuratamente mobilitati… tutti questi sono i mezzi della scienza, l’apparenza della scienza, non la scienza. Troppo spesso l’apparenza è presentata in modo tale da far sembrare qualcosa scienza: ma è raro che qualcuno veramente capisca come qualcosa funziona.

Il materiale del primo libro e il materiale di “Pattern Language” di 25 anni prima, sono scienza. In entrambi i casi, risposte pratiche parziali sono state date alle domande sul modo in cui la struttura dell’ambiente influenza le persone. In entrambi i casi, in una prima approssimazione abbiamo capito veramente come funziona. Sarebbe stato possibile, nei due casi, vestire le scoperte concrete con un abito capriccioso: ma non le avrebbe cambiato di molto.

Per esempio sarebbe stato possibile definire i 253 patterns come in un linguaggio di pattern, come antropologia -dandogli in tal modo l’abito della scienza, i riferimenti, il linguaggio e così via. Sarebbe stato utile creare l’illusione di una scienza ‘forte’. Ma non avrebbe cambiato il fatto che noi abbiamo in parte veramente capito come l’ambiente sostiene la vita umana nella società. Naturalmente non tutti i 253 patterns sono approfonditi allo stesso modo: ma quasi da ognuno di loro si è prefigurato, almeno in parte, come funziona il mondo, e dopo il lavoro che era stato fatto ne sapevamo di più rispetto a prima. E’ poiché è stato pubblicato in una forma disponibile, lo sapremo per sempre – o perlomeno fino a quando qualcuno non si spingerà oltre, e troverà qualcosa di più preciso, o più profondo, su come funzionano le cose.

Nel Il Fenomeno della Vita sono presentate altre più profonde scoperte. Non sarebbero state rese più significative da un abito antropologico o psicologico. Valgono per se stesse e il lettore lo può vedere facilmente studiando il testo. Ci sarà tempo dopo per vestirlo con un abito scientifico capriccioso, quando comincia davvero il faticoso lavoro di andare nel dettaglio e di fare esperimenti più accurati. Ma il lavoro più faticoso è stato fatto.

I riferimento offensivo alla “cattiva scienza”, che compare nell’articolo del signor Saunders, lasciano trasparire una conoscenza dilettantesca di ciò che è la scienza, ed è così che si fa.

Il Fenomeno della Vita definisce i criteri perché ci sia vita negli edifici, e anche i test replicabili per decidere quanta struttura vivente esiste nei differenti edifici. Naturalmente l’apparenza di ciascun test di valore in architettura può far venire il sudore freddo alla professione; ma se la professione teme il concetto può disapprovare piuttosto che evitare di affrontare la questione. Questo è un invito per un dibattito maturo.

 

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fonte: THE NATURE OF ORDER SOME SOBER REFLECTIONS ON THE NATURE OF ARCHITECTURE IN OUR TIME – Christopher Alexander* – tradotto da Antonello ‘Martinez’ Gianfreda & Patrizia Filomena Giannoccaro

* – Il professor Alexander è stato il primo a ricevere, nel 1970, la medaglia AIA per la ricerca. All’epoca è stato premiato per la sua “eccezionale disponibilità a condividere le sue scoperte scientifiche con la comunità degli architetti". Nel 1996 è stato eletto alla americana Accademia delle Arti e delle Scienze.

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Note

(6) – Christopher Alexander, The Nature of Order, Book 4: The Luminous Ground, CES Publications, 2003.