Lo spazio ludico non è un ghetto

Durante il nostro percorso di ricerca sulle relazioni tra gioco, città e società contemporanea, abbiamo incontrato una riflessione illuminante di Franco La Cecla –Città come spazi di gioco in cui il gioco ritorna, ma questa volta non solo come necessità per i bambini in città, ma come dinamica di un’esigenza necessaria per la vitalità della città stessa.

Il suo articolo, che abbiamo il piacere di condividere, conclude che “la città nel suo insieme nasce per consentire il gioco dei cittadini, il loro mettere in scena in episodi precisi il teatro della propria reciprocità. (…) Non ci si meravigli che alle città manchi la vita, che esse siano devitalizzate come un dente cariato. Il primo passo per capire cosa ci è stato tolto è di ricominciare a pensare come sarebbe una città dei giochi, che tipo di nuovi spazi presupporrebbe. Bisogna ‘azzardarsi’ a farlo, rischiare il nostro destino collettivo dentro la città, recuperare la follia allegra del ‘giocatore’.”

L’antropologo parte prendendo spunto da un opera cinematografica ed una letteraria per riflettere sul fatto che in queste “il gioco ha ancora un carattere magico, di follia positiva”, e che “tentare il destino è ciò a cui serve il gioco, l’azzardo [dall’arabo el zahr, fiore]: sfidare la fortuna (…) incitare il destino a rivelarsi, qui ed ora. (…) Mettere alla prova il destino è la componente ‘allegra’, ‘positiva’ del gioco, è il fermare l’attimo per interrogarlo”.

Per lui i “bambini che giocano sospendono il tempo ‘normale’ della città, il suo scorrimento, la sua mobilità per alterarne (…) la funzionalità dello spazio urbano” appropriandosene, occupandolo e trasformandone le modalità e i tempi. I giochi dei bambini sono lo strumento con cui si inter-rompono le peggiori pratiche che vorrebbero gli spazi urbani delle città come luogo esclusivo di produzione, consumo, vendita, circolazione, riposo, comunicazione e gestione dei conflitti. “Quello che non vi viene previsto è un tipo di pratica fine a se stessa, una pratica che fa girare il tempo a vuoto, che non è produttiva e che non consuma, ma che costituisce uno spazio e un tempo a parte”.

La Cecla riflette sul gioco come “paradigma assoluto della quotidianità, quel trascorrere del tempo che circolarmente si compie nelle routines, nelle attese, nei sogni ad occhi aperti. (…) l’ammazzare il tempo che sospende la percezione del tempo come qualcosa di inesorabile. (…) Una città vive anzitutto di quotidianità, di abitudini, di circolarità quotidiana e stagionale.”

E come se i luoghi dove non è presente la vitalità e la ritualità dei giochi, potessero dirsi luoghi in crisi, luoghi di catastrofe, luoghi di guerra e quindi “quando qualcuno ricomincia a giocare sulle macerie la vita riprende. (…)

Probabilmente lo spazio che sostiene la quotidianità urbana nasce da una esigenza di gioco. Le piazze, le strade, i marciapiedi, i boulevards sono la potenzialità di una reciprocità che si gioca nelle feste, nelle allegrie insieme, nelle ricorrenze. Scrivo queste cose e mi rendo conto che non sono più così ovvie. Non lo è l’idea che la matrice dello spazio è una reciprocità che si esprime, un balletto dove i corpi dei cittadini si dispongono a comporre i luoghi dettando a essi delle regole che seguono le regole dei giochi e che costituiscono spazi che ne consentono lo svolgimento. Si può ricominciare a pensare che la forma di una strada è legata al tipo di giochi che in essa sono possibili? Intendendo per giochi le reciprocità che si basano su regole, e quindi l’altra fortissima componente dello spazio che sono i riti. I riti sono giochi che vanno svolti obbedendo a delle regole, stabilendo dei ruoli e sottraendoli al funzionamento normale del villaggio o della città. I riti sospendono il tempo e riconfigurano lo spazio, si tratti di una processione, di una danza, di un sacrificio, di un’alleanza.

Il nostro problema è di avere dimenticato la componente ludica dello spazio (…) che ci manchi (…) la forma che sostanzi gli spazi urbani. È possibile cominciare a ri-concepire la città come luogo del gioco, dei giochi? Possibile che abbiamo affidato lo spazio ludico a un ghetto circoscritto, la scuola, la palestra, i luoghi dell’entertainment?”

Antonello ‘Martinez’ Gianfreda & Patrizia Filomena Giannoccaro

 

___
fonte: http://www.doppiozero.com/materiali/citta-come-spazi-di-gioco

Continua a leggere...

Costruire per giocare

  • 1_umschlagward445
  • 1_beckwithtitel116
  • 1_ledermann-titel106
  • 1_poster308
  • 1_rouardsimontitel084
  • 1_umschalgdattner087
  • 1_umschlag-arioli040
  • 1_laq10-68umschlag-friederg029
  • 1_frhandcrcover020_v2
  • 1_hetzerumschlag187
  • 1_umschlag-bengtssn-schulh243
  • 1_umschlag-bengtssn242
  • 1_umschlag-bengtsson038
  • 1_umschlag-friedberg002
  • 1_umschlag-hogan039
  • 1_umschlag-hurtwood036
  • 1_umschlag-mugglintrachse037
  • 1_umschlag-senda175
  • 1_umschlagaa
  • 1_umschlagaaron
  • 1_umschlagadventureplyg
  • 1_umschlagave207
  • 1_umschlagfriedberg013
  • 1_umschlagfriedberghandcrafted020
  • 1_umschlaghogannuts018
  • 1_umschlagimpossibleplygr232
  • 1_umschlaglecorbusier
  • 1_umschlagmasonenvironment019
  • 1_umschlagmoore052
  • 1_umschlagnorman025
  • 1_umschlagprocessarch30017
  • 1920

Con questo articolo iniziamo un percorso di ricerca ispirato dalla lettura del pattern n° 73 – Parchi giochi d’avventura, presente nel saggio “A Pattern Language” pubblicato nel 1977 dal gruppo di lavoro di Christopher Alexander. Qui si faceva riferimento al lavoro di Lady Allen di Hurtwood (pubblicato nel saggio Planning for Play, Cambridge: MIT Press, 1968) che ha sviluppato il concetto di parco giochi d’avventura per le città, segnalandolo come cardine fondamentale per la costruzione di parchi giochi di quartiere.

Leggiamo nella descrizione del pattern in oggetto che è essenziale che ci sia un luogo “dove i bambini possono incontrarsi a giocare (…) che ci sia almeno una parte (…) dove il gioco è più libero, «selvaggio» (…) [esso] ha molteplici funzioni: dà ai bambini la possibilità di stare insieme, l’opportunità di usare i loro corpi, per sviluppare la muscolatura, e per provare nuove abilità. Ma soprattutto, il gioco è una funzione dell’immaginazione. Il gioco di un bambino è la sua maniera di affrontare le problematiche della crescita, di alleviare le tensioni ed esplorare il futuro. Riflette esattamente i problemi e le gioie della sua realtà sociale. I bambini vengono a patti con il mondo, lottano con le immagini che hanno di esso, e le riformulano continuamente, attraverso quelle avventure dell’immaginario che noi chiamiamo gioco.

Qualsiasi tipo di parco giochi che disturba, o riduce il ruolo dell’immaginazione (…) può sembrare bello, può sembrare pulito, può essere sicuro, può essere sano – ma semplicemente non può soddisfare l’esigenza fondamentale a cui è destinato il gioco. (…) In città, però, è diventata una questione urgente. Il mondo dei giocattoli privati ​​e dei parchi giochi d’asfalto non fornisce l’ambientazione adeguata”[3] per uno sviluppo psico-fisico adeguato. (altro…)

Continua a leggere...

75. LA FAMIGLIA *

. . . . assumiamo ora, che tu abbia deciso di costruire una casa per te stesso. Se la collochi in maniera appropriata, la casa può aiutarti a creare un agglomerato, o una schiera di case, o un poggio di case – CASE RAGGRUPPATE (37), CASE A SCHIERA (38), POGGIO DI CASE (39) – o può contribuire a mantenere viva una comunità di lavoro – CASE NEGLI INTERSPAZI (48). Questo seguente pattern ti fornisce alcune importanti informazioni in merito alle caratteristiche sociali dell’abitare. Se avrai successo nel seguire questo pattern, esso ti aiuterà nel realizzare i pattern IL CICLO DI VITA (26) e MIX DI ABITAZIONI (35) nella tua comunità.

* * *

La famiglia ‘nucleare’ non costituisce di per sé una forma sociale vitale/valida.

Fino a pochi anni fa la società umana era fondata sulla ‘famiglia estesa’: una famiglia di almeno tre generazioni con genitori, figli, nonni, zii, zie e cugini, tutti conviventi in un’abitazione singola o un’abitazione articolata, fatta di parti sostanzialmente connesse. Ma le persone di oggi si spostano di centinaia di chilometri per sposarsi, per istruirsi e per lavorare. In tali circostanze le sole unità familiari che rimangono sono quelle denominate “famiglie nucleari”: padre, madre e bambini. E molte di queste famiglie sono ulteriormente divise a causa di separazioni e divorzi. (altro…)

Continua a leggere...

Alcune modeste riflessioni sulla natura dell’architettura nel nostro tempo – (2/2)

Henri Matisse, Interno con vaso etrusco, 1939-40

di Christhopher Alexander*

( >>> continua dalla prima parte)

Una visione dell’architettura come disciplina che cura il mondo.

La questione centrale è guardare all’architettura in modo completamente differente, in cui ogni azione, piccola, media o grande che sia, è governata da una unica regola che tutto abbraccia: “Qualunque cosa si faccia deve sempre essere fatta avendo la massima cura possibile della totalità: la Terra, la gente, le strutture esistenti della città.”

Questa regola deve essere applicata quando si posiziona una finestra nel muro; quando si colloca un edificio lungo una strada; quando si costruisce o ricostruisce un quartiere nella città. In ogni caso quello che è importante è la cura dell’insieme, l’integrità vivente della Terra, in quel quartiere, e l’amore e la dedizione che lo sostengono, lo preservano e lo estendono.

Ciò è interamente -totalmente- diverso dall’attuale concezione per cui ogni cosa fatta vive in grande misura per se stessa: in cui lo sviluppo, stilosità, e il profitto, sono l’unico filo conduttore. Si tratta di una nuova concezione nella quale una nuova triade (Totalità – Cura – Trasformazioni che preservano la struttura) guida e rimpiazza la vecchia triade (Moda – Profitto – Promozione e Commercializzazione ottenuti tramite il design), che governa tutta l’architettura postmoderna predominante in voga oggi. (altro…)

Continua a leggere...

Alcune modeste riflessioni sulla natura dell’architettura nel nostro tempo – (1/2)

Herni Matisse, Donna con ombrello seduta di profilo. 1919-21, olio su tela

di Christhopher Alexander*

   Prefazione
Ho scritto il seguente articolo in risposta ad un commento, scritto da William Saunders, e pubblicato su Architectural Record nel numero di maggio del 2002. – (1) Il commento ha preso la forma di recensione libraria divisa in due parti, la prima tratta di “A Pattern Language” (una versione condensata di una recensione più lunga che era apparsa nella primavera 2002 su Harvard Design Magazine) e la seconda parte viene presentata, come se si trattasse di una recensione di Il Fenomeno della vita, libro I della serie La Natura dell’ordine. – (2) Comunque, la forma attuale di questa seconda parte è quella di un attacco personale. E’ stata impostata intenzionalmente con lo scopo di distruggere il libro, non argomentando, ma danneggiando la mia reputazione personale e professionale. Tale esposizione dà poche indicazioni concrete che il signor Saunders abbia letto Il Fenomeno della vita. Certamente non ha né spiegato, né riassunto, né offerto repliche sugli argomenti che il libro contiene.

Per un recensore di libri è insolito evitare di parlare dei contenuti del libro che recensisce. Ciò suggerisce, a mio avviso, o che l’autore ha fatto il suo lavoro molto rapidamente, e non ha quindi avuto il tempo di esaminare il libro con attenzione, o che ha ritenuto che Il Fenomeno della vita contenesse materiale così pericoloso per l’attuale maniera di pensare l’architettura, che doveva essere distrutto, piuttosto che criticato in base ad argomentazioni ragionate, in modo tale da impedire ad ogni costo agli architetti la lettura di tale libro.

Se effettivamente questo è il caso, allora tale tentativo di occultare le colpe dell’odierna professione dell’architettura attraverso sferzate, diventa interessante perché suggerisce quanto la professione sia isolata dai recenti sviluppi della scienza. Il libro recensito presenta una proposta, idee, e prove scientifiche che, se considerate nel loro insieme, potrebbero avere enormi implicazioni per la pratica dell’architettura, e, una volta prese sul serio, inevitabilmente cambiare la natura dell’architettura nella società.

 

Un criterio oggettivo per valutare l’architettura

Il Fenomeno della vita descrive un criterio completamente nuovo, scientifico, per definire il valore in architettura. Ed è basato su 27 anni di osservazioni accuratamente registrate.

La proposizione fondamentale contenuta in questo libro è che il grado di vita sia una caratteristica oggettiva e osservabile degli edifici e di altri artefatti, che essa dipenda dalla presenza o assenza di una struttura identificabile che possiamo chiamare struttura vivente: e che è la presenza o l’assenza di questa struttura che distingue gli edifici di valore da quelli che non lo sono, la buona dalla cattiva architettura. (altro…)

Continua a leggere...

Un luogo vitale

Durante il percorso di ricerca intrapreso con il progetto Paese Mi’ ci siamo chiesti spesso cosa rende un luogo più o meno vitale. Tra le varie azioni da noi intraprese, un primo esperimento è stato quello di filmare, in una giornata di ottobre, quello che accadeva nei Giardini di Porta Venezia, un luogo che conosciamo e amiamo perché ci fa star bene. Lo abbiamo osservato, e filmato, nel tentativo di catturare ciò che Christopher Alexander chiamaLa qualità senza nome.

Chiunque nel guardare il filmato può facilmente percepire tale Qualità. Il piacere che si può provare osservando le dinamiche che si sviluppano fanno di questo parco un luogo davvero speciale. Abbiamo chiamato il filmato «Life Cycle», come il pattern omonimo, perché ritenevamo rappresentasse bene che nel parco fosse presente un giusto equilibrio di persone che si trovano in ogni fase della vita, dai neonati agli anziani” (26).

Sorprendentemente, soprattutto di questi tempi, nel parco sembra si sviluppino momenti di vita che coinvolgono tutti, indipendentemente dalla loro età, e che si sentano a proprio agio e in armonia con gli altri e con la natura.

La cornice naturale fatta dalle accoglienti ombre e colori degli alberi secolari; gli ampi prati dove tutti in piena libertà possono distendersi al sole o giocare con il proprio cane; lunghi e tortuosi vialetti dove camminare o correre; luoghi riservati e tranquilli che aiutano letture ispirate o il sorgere di nuovi amori; edifici che nella loro funzione, forma e disposizione posseggono  a loro volta «La qualità»; l’acqua ovunque presente, nelle fontane, nei corsi d’acqua e nei laghetti; panchine protette da vento, ben esposte al sole e posizionate in maniera da permettere di osservare e incentivare gli incontri; il ‘Gioco’ presente ovunque. Un intersecarsi continuo di volumi e di spazi dove sembra che tutti, genitori, nonni, adulti, ragazzi, bambini, possano stare insieme, ognuno vivendo il proprio attimo, interagendo con gli altri.

Tutto ciò rende questo luogo un posto estremamente vitale.


riprese video, montaggio di Antonello ‘Martinez’ Gianfreda & Patrizia Filomena Giannoccarobrani musicali Spero e Respiro gentilmente concessi da Effebizeta

Continua a leggere...